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16/04/2024

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L’ultimo Maestro: Addio Dario Fo, Amico Di Tutti!

Wikipedia – Dario Fo (Sangiano, 24 marzo 1926 – Milano, 13 ottobre 2016) è stato un drammaturgo, attore, regista, scrittore, autore, illustratore, pittore, scenografo e attivista italiano. Vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1997 (già candidato nel febbraio 1975), i suoi lavori teatrali fanno uso degli stilemi comici propri della Commedia dell’arte italiana e sono rappresentati con successo in tutto il mondo. In quanto attore, regista, scrittore, scenografo, costumista e impresario della sua stessa compagnia, Fo è uomo di teatro a tutto tondo. È famoso per i suoi testi teatrali di satira politica e sociale e per l’impegno politico di sinistra. Con la moglie Franca Rame fu tra gli esponenti del Soccorso Rosso Militante.

Dario Fo – A 90 Anni Non Temo La morte. Il Mio Motto È Far Ridere! (Di Fanpage 24 Marzo 2016)

 

Monologo Dario Fo – Italicum Una Legge A Tripla Mandata (26 Settembre 2016)

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Da Wikipedia

Origini familiari

Figlio di Felice Fo (Monvalle, 11 novembre 1898 – Luino, 1º gennaio 1987: capostazione e anche attore in una compagnia amatoriale) e di Pina Rota (Sartirana Lomellina, 20 settembre 1903 – Luino, 6 aprile 1987), è cresciuto in una famiglia intellettualmente vivace, nella quale ha potuto ascoltare fin dalla prima infanzia le favole, frammiste a cronaca locale, raccontate dal nonno materno e le storie riportate da viaggiatori e artigiani. Proprio gli affabulatori di paese (ripetutamente citati e ricordati da Fo), grazie alla loro capacità di raccontare gli avvenimenti, avrebbero poi ispirato l’artista nel corso degli anni.

La seconda guerra mondiale

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, a seguito della chiamata alle armi della neonata Repubblica Sociale Italiana si arruola giovanissimo volontario nelle file dell’esercito fascista, prima nel ruolo di addetto alla contraerea a Varese e successivamente come paracadutista nelle file del “Battaglione Azzurro” di Tradate. La scoperta di questa militanza, emersa per la prima volta negli anni settanta, scatenò polemiche, querele e processi da parte di Dario Fo – all’epoca attivo rappresentante in campo artistico della cultura della sinistra italiana – che si trascineranno per alcuni decenni. Fo ammetterà e parlerà poi di questa parentesi, affermando anche che si era arruolato volontario nell’unico esercito esistente, ma in quanto “italiano” e non in quanto fascista, per non essere deportato in Germania come lavoratore o come militare di leva, e dopo essere stato spostato in numerosi luoghi di addestramento, venne quindi arruolato nei parà.

Inizi della vita artistica

Compiuti gli studi all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, dal 1950 Fo cominciò a lavorare per la RAI come attore e autore di testi satirici. È del 1952 la serie di suoi monologhi radiofonici intitolata Poer nano. Il 24 giugno 1954 sposò l’attrice e collega Franca Rame a Milano, nella basilica di Sant’Ambrogio. Poco dopo la coppia si trasferì a Roma. Qui il 31 marzo 1955 nacque il loro figlio Jacopo. Sempre a Roma Fo, dal 1955 al 1958, lavorò come soggettista per il cinema. Nel 1956 Fo scrisse e interpretò, insieme a Franco Parenti, un varietà per la radio intitolato Non si vive di solo pane, che lo stesso Fo ricorderà in seguito come un programma di grande successo.

Nel 1962 Fo e la moglie, che nel frattempo avevano fondato la Compagnia Dario Fo-Franca Rame, prepararono una serie di brevi pezzi per il varietà televisivo Canzonissima. La censura intervenne così spesso che abbandonarono la televisione in favore del teatro. Le commedie prodotte tra il 1959 e il 1961 avevano la struttura della farsa, dilatata e arricchita da elementi di satira di costume. Con atteggiamento critico verso quello che lui denominava “teatro borghese”, Fo recitava in luoghi alternativi quali piazze, case del popolo, fabbriche: luoghi dove egli poteva trovare un pubblico diverso da quello tipico dei teatri, un pubblico che era composto soprattutto dalle classi subalterne e che normalmente aveva meno opportunità di accesso agli spettacoli teatrali.

Mistero buffo, il grammelot e il “teatro di narrazione”

Nel 1968 insieme a Franca Rame, Massimo de Vita, Vittorio Franceschi e Nanni Ricordi fonda il gruppo teatrale Nuova Scena, con l’obiettivo di ritornare alle origini popolari del teatro ed alla sua valenza sociale. Anche in questo caso, le rappresentazioni avvenivano in luoghi alternativi ai teatri ed a prezzo politico. Il 1º ottobre 1969, a La Spezia, Fo portò per la prima volta in scena, con grande successo, la “giullarata” Mistero buffo; egli, unico attore in scena, recitava una fantasiosa rielaborazione di testi antichi in grammelot, traendone una satira tanto divertente quanto affilata. Il grammelot, linguaggio teatrale che si rifà alle improvvisazioni giullaresche e alla Commedia dell’arte, è costituito da suoni che imitano il ritmo e l’intonazione di uno o più idiomi reali con intenti parodici.

Nel caso specifico di Mistero buffo, il linguaggio utilizzato da Fo era una mescolanza dei vari dialetti della Pianura padana. Mistero buffo costituisce, per certi versi, il modello di quel quasi-genere che si è soliti definire “teatro di narrazione”. Tra la fine degli anni sessanta e l’inizio dei settanta, Fo si schierò con le organizzazioni extraparlamentari di estrema sinistra e fondò il collettivo “La Comune”, attraverso il quale tentò con grande passione di stimolare il teatro di strada.

Al 1970 risale Morte accidentale di un anarchico, opera che segna il ritorno di Fo alla farsa ed all’impegno politico; era chiaramente ispirata al caso della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli (ma ufficialmente si ispirava ad un evento analogo avvenuto negli Stati Uniti all’inizio del XX secolo, la morte di Andrea Salsedo). Nell’opera, Luigi Calabresi è il commissario Sportivo, soprannominato “commissario Cavalcioni”, che posiziona gli interrogati a cavalcioni di una finestra, accreditando l’ipotesi poi smentita dall’inchiesta della magistratura, della defenestrazione dolosa dell’anarchico.

La vicenda si svolge in una stanza della procura centrale di Milano con protagonista quel “Matto” che ricorre spesso nel teatro di Fo quando occorre rivelare verità scomode. Il Matto adotta vari travestimenti (psichiatra, giudice, capitano della scientifica e vescovo) mediante i quali la versione ufficiale dei fatti mostra tutte le sue contraddizioni e, dal tentativo di costruire una versione plausibile, emergono altre esilaranti incongruenze. Sul caso Pinelli, tra l’altro, Fo firmò una lettera aperta, pubblicata dal settimanale L’Espresso nel giugno 1971.

Nel 1973 la casa editrice Bertani pubblicò ‘’Mistero Buffo’’. Nel 1974 l’Einaudi pubblicò parte delle commedie di Fo. Pochi anni dopo Fo, insieme alla moglie Franca Rame, tornò in televisione con un programma chiamato Il teatro di Dario Fo (in onda su Rete 2, a partire dal 22 aprile 1977, ore 20:30). La serie di trasmissioni avrebbe permesso al futuro premio Nobel di far apprezzare i propri lavori più recenti ad un’ancor più vasta schiera di persone – vasta come solo la platea televisiva poteva essere. Nel programma vennero proposte tutte le pièce registrate alcuni mesi prima nella Palazzina Liberty dell’antico Verziere di Milano.

I titoli delle pièce erano: Mistero Buffo, che apriva la serie; Settimo: ruba un po’ meno; Ci ragiono e canto; Isabella, tre caravelle e un cacciaballe; La signora è da buttare; Parliamo di donne, quest’ultima interpretata dalla sola Franca Rame. A ribadire la fama trasgressiva o addirittura sovversiva della coppia Fo-Rame (fama che di fatto aveva costretto la coppia ad abbandonare la televisione nei primi anni sessanta), Il teatro di Dario Fo, e soprattutto Mistero Buffo, attirò l’attenzione del Vaticano che, per bocca del cardinale Ugo Poletti, reagì molto duramente ai modi e al linguaggio con cui nel programma si trattavano certi temi e personaggi religiosi o, più in particolare, ecclesiastici.

Una curiosità: anche se autore dei testi di molte canzoni (soprattutto per Enzo Jannacci), l’unica volta in tutta la sua carriera in cui Fo si è trovato nella hit parade dei 45 giri, anche se fra le posizioni più basse, è stata con la sigla del programma Il teatro di Dario Fo (sigla intitolata ironicamente “Ma che aspettate a batterci le mani?”).

Esperienze nel teatro dell’opera

Il 18 novembre 1978, al Teatro Ponchielli di Cremona, debuttò Histoire du soldat di Igor Stravinskij, con la direzione di Claudio Abbado e la regia di Dario Fo. L’allestimento, realizzato da Fo in occasione del bicentenario del Teatro alla Scala di Milano, richiese più di trenta mimi e un grande palcoscenico, con un’apertura di almeno sedici metri, sul quale fu collocata una scena mobile, che gli interpreti dovevano spostare e ricomporre di volta in volta da soli. Successivamente, lo stesso spettacolo fu replicato nel Palasport Lino Oldrini di Masnago, a Paderno Dugnano, Cassano d’Adda, Cinisello Balsamo, Mantova ed al PalaPianella di Cucciago e nel 1979 a Novate Milanese, Lodi, Monza, Teatro Coccia di Novara, Urbino, Teatro Tendastrisce di Roma, Teatro Carlo Goldoni (Livorno), Teatro Manzoni (Pistoia), Teatro Moderno di Grosseto, Teatro Verdi (Pisa), Palasport Villa Romiti di Forlì, Teatro Lirico di Milano e Bergamo.

Il 2 dicembre 1980, al Theâtre de l’Est parisien di Parigi, debuttò Histoire du tigre et autres histoires, spettacolo di e con Dario Fo.

Il 14 marzo 1987, al Muziektheater di Amsterdam, si tenne la prima del Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini con regia, scenografia e costumi di Dario Fo. L’allestimento di Amsterdam fu poi ripreso da svariati teatri italiani ed europei, non ultima l’Opéra Garnier di Parigi nell’estate 1992. Fo inoltre si dedicò alla regia di altre opere di Rossini, come L’Italiana in Algeri (al Rossini Opera Festival di Pesaro nel 1994) e Il viaggio a Reims.

Gli anni Ottanta e Novanta

Il teatro di Fo permette di cogliere l’attualità anche in argomenti che a prima vista ne sono lontani; altra caratteristica è l’anticlericalismo. Entrambi gli elementi si ritrovano nella commedia Il papa e la strega. Fo la scrisse durante l’estate 1989, quando (fuori e dentro le aule del Parlamento italiano) ferveva il dibattito sulla lotta alla droga e sulla necessità o meno di una riforma della legge n. 685 del 22 dicembre 1975 in senso maggiormente repressivo.

La riforma, sponsorizzata dal governo Andreotti, suscitava posizioni ambivalenti nel Partito Socialista Italiano (malgrado proprio quest’ultimo fosse il partito di Giorgio Casoli, relatore della riforma stessa, e avesse svariati ministri nell’esecutivo), ma soprattutto era avversata dagli antiproibizionisti (che la giudicavano controproducente). Nella commedia di Fo, il cui impianto è, come al solito, farsesco, viene fatta oggetto di satira la miopia mostrata dal governo nello sponsorizzare la riforma con l’appoggio della Chiesa.

Sempre nel 1989, la sua satira del servilismo ha un tassello in più nella curiosa partecipazione allo sceneggiato TV I promessi sposi di Salvatore Nocita, dove Fo interpreta a suo modo il dottor Azzecca-garbugli. Particolare: in questa trasposizione filmica del romanzo di Alessandro Manzoni gli attori, fra molte polemiche, recitano tutti in inglese (compreso Alberto Sordi, nella parte di don Abbondio): l’unico a rifiutarsi è lo stesso Fo, che per questo conserverà il ruolo nell’edizione italiana, mentre verrà sostituito da John Karlsen in quella internazionale. Il 1992 fu l’anno della celebrazione dei cinque secoli dalla scoperta dell’America.

Fo raccontò l’evento alla sua maniera in Johan Padan a la descoverta de le Americhe, dove un povero della provincia bergamasca, cercando di sfuggire all’Inquisizione, scappa da Venezia per approdare in Spagna e giungere infine, con una serie di vicende, nel nuovo mondo. Qui Fo, per proporre una rilettura della storia alternativa a quella ufficiale, utilizza lo stratagemma dell’eroe per caso che ha il suo piccolo ruolo in una vicenda più grande di lui. Sono molti i punti in comune con Mistero buffo: anche qui si utilizza un divertente grammelot padano-veneto, in un testo dove il messaggio stesso è divertente, in una favola dove il comico fornisce il suo dissacrante punto di vista del mondo. Anche in questo caso Fo è solo in scena interpretando tutti i personaggi (sul Johan Padan si veda il contributo di Christopher Cairns nel volume Coppia d’arte – Dario Fo e Franca Rame, riportato nella bibliografia conclusiva).

Il Premio Nobel

Il 9 ottobre 1997 Fo ha ricevuto il Premio Nobel per la letteratura, con la seguente motivazione: “Perché, seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”. Il commento di Fo è stato:

« Con me hanno voluto premiare la Gente di Teatro »

Il fatto ha provocato un certo scalpore, in Italia come all’estero. La scelta di Fo da parte dell’Accademia Svedese, fra gli altri, prese in contropiede i molti rappresentanti della cultura italiana che, da anni, patrocinavano la candidatura di Mario Luzi.

Dopo il premio Nobel

Negli ultimi tempi, la produzione di Fo ha continuato a seguire le due strade parallele della commedia farsesca (Il diavolo con le zinne, 1997) e del monologo costruito sul modello archetipico di Mistero buffo (da Lu santo jullare Francesco del 1999 allo spettacolo-lezione Il tempio degli uomini liberi del 2004).

Il 18 marzo 1998 alle 22:45 Raidue trasmette la registrazione dello spettacolo Marino libero! Marino Innocente! (il cui testo verrà poi edito in volume dalla Einaudi), dedicato alle vicende processuali scaturite dall’Omicidio Calabresi. Il recital si concentra soprattutto sulle presunte incongruenze all’interno della testimonianza del pentito Leonardo Marino a carico degli accusati Sofri, Bompressi e Pietrostefani. La data di messa in onda coincide con quella di recusione, stabilita dalla Corte d’appello di Milano, della richiesta di revisione del processo presentata dal legale dei condannati Alessandro Gamberini, ma l’orario di programmazione viene fissato dai dirigenti della rete ad alcune ore dopo la sentenza, per non influenzare la decisione dei magistrati incaricati (Giorgio Riccardi, Niccolò Frangosi e Giovanni Budano).

Nel 1999 Dario Fo è stato insignito della laurea honoris causa dall’Università di Wolverhampton (Inghilterra centrale), insieme a Franca Rame. L’avvento del secondo governo Berlusconi lo ha nuovamente sospinto verso una produzione d’impegno civile e politico, che si è infine concretata nell’allestimento di opere satiriche proprio su Silvio Berlusconi, da Ubu rois, Ubu bas a L’Anomalo Bicefalo (scritta insieme alla moglie): in quest’ultima commedia, incentrata sulle vicende giudiziarie, politiche, economiche di Berlusconi, Fo impersona il premier che, persa la memoria in seguito ad un incidente, riesce a riacquistarla confessando la verità sulle proprie vicende.

Della commedia è stata temporaneamente impedita la diffusione televisiva, a causa della querela presentata da Marcello Dell’Utri, il quale contestava la citazione di alcune sue vicende giudiziarie all’interno della sceneggiatura (su L’Anomalo Bicefalo si veda l’articolo di Scuderi nella bibliografia finale). Contemporaneamente Fo ha portato in scena, insieme a Giorgio Albertazzi, una serie di spettacoli-lezioni sulla storia del teatro in Italia, spettacoli trasmessi anche in televisione, su Rai 2. Nel 2005 Fo è stato insignito della laurea honoris causa alla Sorbona di Parigi, mentre l’anno successivo la stessa onorificenza gli è stata assegnata dalla Sapienza di Roma.

Prima di lui, solo altri due autori di teatro avevano ricevuto una laurea honoris causa dalla Sapienza: Luigi Pirandello e Eduardo de Filippo.

Il 16 novembre 2007 Fo presenta a Milano il film cospirazionista di Giulietto Chiesa Zero – Inchiesta sull’11 settembre, su presunti retroscena degli attentati dell’11 settembre 2001, film nel quale egli partecipa come personaggio e voce narrante. Nel 2008 ha collaborato con il cantautore pavese Silvio Negroni, scrivendo il brano La verzine e o Piccirillo, che Negroni ha eseguito nell’album del suo gruppo, I fio dla nebia.

Nel 2010 recita in una canzone del cantautore Luca Bussoletti. Si tratta di A solo un metro, un brano sulle mine antiuomo il cui ricavato è devoluto ad Amnesty International sezione italiana. Il videoclip della canzone è girato in Afghanistan ed è mandato in esclusiva dal sito della rivista Rolling Stone.

In occasione della IV giornata nazionale dell’afasia, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione delle persone afasiche, ha recitato un brano di grammelot nello spot televisivo promosso dalla fondazione Pubblicità Progresso. Tra dicembre 2011 e marzo 2012 con la moglie ha riportato in scena Mistero buffo in una serie di spettacoli nel nord Italia. Il 24 marzo 2012, giorno del suo ottantaseiesimo compleanno, ha inaugurato la mostra “Lazzi Sberleffi Dipinti” presso Palazzo Reale di Milano, esponendo più di 400 opere che percorrevano tutto l’arco della vita sua e di Franca Rame.

Nel 2013 muore la moglie Franca Rame.

Il 17 gennaio 2014 partecipa a Le invasioni barbariche su La 7, insieme a Mika, esibendosi tra l’altro in un duetto sulle note della celeberrima Ho visto un re, da lui scritta, e condotta al successo da Enzo Jannacci. Sempre nel 2014 pubblica il suo primo romanzo, La figlia del Papa, ispirato alla figura di Lucrezia Borgia: nella donna, Fo ravvisa molti punti di contatto con Franca Rame. Lo stesso anno dedica uno dei suoi dipinti a Reyhaneh Jabbari, condannata a morte per l’omicidio del suo stupratore in Iran.

Nel 2015 pubblica Un uomo bruciato vivo, scritto assieme a Florina Cazacu, figlia di Ion, un operaio rumeno bruciato vivo nel 2000 dal datore di lavoro, per aver chiesto di essere messo in regola; Fo e Franca Rame si erano occupati della vicenda della famiglia Cazacu in passato, aiutando le figlie ad ottenere il ricongiugimento famigliare con la madre venuta in Italia, negato loro nel 2003 perché maggiorenni. Sempre del 2015 è il secondo romanzo, di nuovo a sfondo storico, C’è un re pazzo in Danimarca, sulla storia di Cristiano VII di Danimarca.

Attivismo politico

Negli anni di piombo, come attivista del Soccorso Rosso Militante, Dario Fo e Franca Rame difesero pubblicamente Giovanni Marini, Achille Lollo (entrambi poi condannati), Giambattista Lazagna e Pietro Valpreda, come tra gli anni ottanta e novanta difenderà gli ex membri di Lotta Continua accusati dell’omicidio Calabresi: Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani e Ovidio Bompressi, accusati dal “pentito” Leonardo Marino. Sulla vicenda scrisse la commedia Marino libero! Marino è innocente!.

Nel 1973 la moglie Franca Rame venne sequestrata e violentata da alcuni neofascisti legati alla destra eversiva e ad ambienti militari, come ritorsione per l’attività politica svolta assieme al marito nei movimenti di sinistra. La compagnia teatrale Fo-Rame ebbe numerosi processi e querele, nonché intimidazioni e minacce, compreso il posizionamento di bombe artigianali inesplose nei luoghi dove si esibiva.

Nel 1980 venne loro negato il visto d’ingresso negli Stati Uniti, ricevendo la solidarietà di Arthur Miller (vittima, negli anni cinquanta, del maccartismo, poiché accusato di essere comunista), Bernard Malamud, Richard Foreman, Martin Scorsese e altri.

Il 29 gennaio 2006 Fo ha partecipato alle elezioni primarie dell’Unione per designare il candidato a sindaco di Milano, ottenendo il 23,3% dei voti e piazzandosi perciò secondo, dopo il vincitore Bruno Ferrante: la campagna del premio Nobel per le primarie è raccontata dal documentario Io non sono un moderato di Andrea Nobile.

Alle consultazioni comunali del capoluogo lombardo, quello stesso anno, Fo ha poi lanciato una propria lista civica “Uniti per Fo”, che ha ottenuto il 2,12% dei consensi, sufficienti comunque a farlo eleggere consigliere comunale. Per sostenere la sua candidatura a sindaco, il 26 aprile 2006 è stato anche organizzato all’Area 51 di Milano uno show, intitolato Rock ‘n’ Fo, che ha visto protagonisti diversi giovani artisti, tra cui il cantautore Gabriele Savasta e la rock band Snatchers.

Fo non ha mai svolto l’attività di consigliere comunale alla quale era stato eletto, poiché si è dimesso prima dell’insediamento del Consiglio, affermando di non avere tempo sufficiente da dedicare alla carica pubblica per cui si era candidato.

Il 17 febbraio 2007 è stato a Vicenza, alla manifestazione contro la costruzione dell’aeroporto militare americano presso il Dal Molin.

Per le elezioni politiche italiane del 2013 ha manifestato il proprio appoggio alla lista Rivoluzione civile di Antonio Ingroia e al Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, insieme al quale e a Gianroberto Casaleggio, ha scritto anche il libro “Il Grillo canta sempre al tramonto – Dialogo sull’Italia e il Movimento 5 Stelle” (Chiarelettere). Il 19 febbraio per il comizio di Grillo a Piazza Duomo a Milano, paragonando il percorso politico dei 5 Stelle alla guerra di liberazione, ha dichiarato: “L’ultima guerra mondiale: ci fu una festa come questa e c’era tanta gente come siete voi, felici, pieni di gioia. Si sarebbe rovesciato tutto, e non ci siamo riusciti. Fatelo voi per favore, fatelo voi. Ribaltate tutto per favore. Non mollate per favore. Non mollate. Si ricomincia da capo!”

Grillo, in seguito ai positivi risultati ottenuti nelle elezioni politiche, ha proposto Dario Fo come possibile successore di Giorgio Napolitano alla Presidenza della Repubblica.. Fo ha risposto alla chiamata dell’amico dichiarando che “Fare questo lavoro è duro e sarebbe disastroso per i miei interessi fondamentali cui tengo molto: tenere lezioni ai ragazzi, incontrarmi coi giovani, avere rapporti creativi, scrivere, tenere conferenze”.

Fra le caratteristiche più note dell’opera di Fo ci sono l’anticonformismo, l’anticlericalismo e, più in generale, l’esercizio di una forte critica rivolta, attraverso lo strumento della satira, alle istituzioni (politiche, sociali, ecclesiastiche) e alla morale comune. La sua costante opposizione a ogni forma di potere costituito rende Fo non soltanto un artista “scomodo”, ma l’antitesi degli intellettuali organici, tutti presi dal compito di conservare l’egemonia culturale già esistente o di crearne una alternativa. Dario Fo è ateo.

All’interno della sua vastissima produzione (circa settanta lavori), i personaggi dell’attualità, della storia o del mito sono presentati sempre in un’ottica rovesciata, opposta a quella comune (il gigante Golia è buono e pacifico, mentre Davide è un litigioso rompiscatole, Napoleone e Nelson si comportano come bambini che si fanno reciproci dispetti, ecc.). Già nei primi spettacoli compare, sia pure in embrione, quella satira fatta di smitizzanti ribaltamenti tanto frequente nei successivi lavori di Fo.

Tanto importante quanto la componente critica della satira di Fo è la capacità di costruire e mettere in scena delle perfette macchine per far ridere, sul modello delle farse e dei vaudeville (commedie brillanti) e con rimandi sia al filone popolare dei lazzi della Commedia dell’arte, sia alle gag del circo e del cinema muto. Questo è il tipo di produzione alla quale Fo si è dedicato dal 1957 al 1961. Si tratta di testi che, anche a distanza di anni, mantengono una straordinaria vis comica e che, inoltre, risultano godibilissimi alla lettura.

Fo torna sempre ad usare i meccanismi della farsa, fondendoli con una satira di rara efficacia. Rispetto alle prime commedie, però, col tempo si fanno più accentuati gli intenti satirici nei confronti del potere costituito. Lo spettacolo spesso si articola, secondo lo schema del “teatro nel teatro”, in una struttura a cornice, con una storia esterna che ne contiene un’altra. La commedia si inserisce in un filone demistificatorio, ossia nel tentativo di raccontare fatti e personaggi della storia e dell’attualità secondo un’ottica alternativa (magari totalmente immaginaria), priva di quella retorica e di quegli stereotipi a cui la cultura ufficiale fa ricorso tanto di frequente. Questo è un nodo centrale nella poetica di Dario Fo, come egli stesso dichiara:

« La risata, il divertimento liberatorio sta proprio nello scoprire che il contrario sta in piedi meglio del luogo comune… anzi, è più vero… o almeno, più credibile. »
(da Dario Fo parla di Dario Fo, Lerici, 1977)

Un personaggio frequente nel teatro di Fo è quello del Matto a cui è permesso dire le verità scomode (vedi ad esempio Morte accidentale di un anarchico). Spesso il mondo delle commedie di Fo è popolato da personaggi “da sottobosco”, visti però in chiave positiva: ubriachi, prostitute, truffatori carichi di inventiva, matti che ragionano meglio dei sani e simili. Di certo non è estranea alla scelta di questo tipo di personaggi l’influenza degli anni vissuti a Sangiano, il paese natale, che Fo descrive così:

« Paese di contrabbandieri e di pescatori, più o meno di frodo. Due mestieri per i quali, oltre a una buona dose di coraggio, occorre molta, moltissima fantasia. È risaputo che chi usa la fantasia per trasgredire la legge ne preserva sempre una certa quantità per il piacere proprio e degli amici più intimi. »

Anche la burocrazia è presa di mira: in Gli arcangeli non giocano a flipper, un personaggio scopre di essere iscritto all’anagrafe come cane bracco. Pur avendo scoperto che l’errore è frutto della vendetta di un impiegato impazzito per una mancata promozione, il protagonista è costretto dalle ferree leggi della burocrazia a comportarsi da vero cane bracco e solo dopo che, come cane randagio, sarà stato ufficialmente soppresso potrà tornare uomo e riscuotere i soldi che gli spettano. Qui la burocrazia ha una sua logica chapliniana, per cui non ciò che esiste viene annotato sulle carte, ma ciò che le carte certificano deve esistere.

Questa surreale situazione può essere vista come variazione in chiave vaudeville, de Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello. Non è chiaro se la parodia sia voluta o meno, ma certo è che, dopo le accuse di eccessivo cerebralismo che Fo ha sempre mosso a Pirandello, non è da escludere una deliberata volontà parodistica. Il rapporto tra Fo autore e Fo attore può essere riassunto da ciò che egli stesso scrive in un articolo nel 1962:

“Gli autori negano che io sia un autore. Gli attori negano che io sia un attore. Gli autori dicono: tu sei un attore che fa l’autore. Gli attori dicono: tu sei un autore che fa l’attore. Nessuno mi vuole nella sua categoria. Mi tollerano solo gli scenografi”.

Se c’è un testo che però non può prescindere dalla presenza scenica di Fo, questo è “Mistero buffo” (1969), lungo monologo in grammelot che imita il dialetto padano, che offre una versione smitizzata di episodi storici e religiosi, coerente con l’idea che “il comico al dogma fa pernacchi, anzi ci gioca, con la stessa incoscienza con cui il clown gioca con la bomba innescata”. Una delle idee guida dello spettacolo è che la cultura alta abbia sempre rubato a mani basse elementi della cultura popolare, rielaborandoli e spacciandoli per propri (sul rapporto tra Fo e la cultura popolare, si veda Antonio Scuderi, Dario Fo and Popular Performance, Legas 1998 e, dello stesso autore, Le cuit et le cru: il simbolismo zoomorfico nelle giullarate di Dario Fo, nel volume Coppia d’arte citato nella bibliografia conclusiva).

Figura centrale di tutto lo spettacolo è quella del giullare, in cui Fo si identifica, rifacendosi alle origini dì questa figura come quella di colui che incarnava e ritrasmetteva in chiave grottesca le rabbie del popolo. Negli anni sessanta e settanta nella società italiana personaggi come Dario Fo e Leonardo Sciascia esplicavano, tramite l’analisi dialettica della situazione politica e socio-culturale e, soprattutto, del linguaggio eufemistico e accomodante di cui si avvale tuttora la classe politica, per mostrare il marciume, le fallacie logiche, le segrete connivenze fra le classi dominanti e i favoreggiamenti che si celano sotto il perbenismo politico.

Commedie come Morte accidentale di un anarchico (questa pièce sul decesso dell’anarchico Pinelli durante un interrogatorio in seguito alla strage di piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1969) è, insieme con la giullarata Mistero buffo, il capolavoro di Fo) non sono altro che il coerente accorpamento di tutti i dati e di tutte le comunicazioni ufficiali, sempre contrastanti e sconcertanti, se raccolti sistematicamente, e segno dell’arroganza del potere. Gli interventi di Fo sull’argomento sono tipici della Commedia dell’arte e della tradizione comica italiana così come della più feroce satira politica tedesca: la forma rende il testo umoristico e nel contempo mette a nudo i soprusi del potere e la crudeltà inarrestabile della burocrazia, la fabula vera e propria invece è desunta dalla realtà.

Il procedimento usato in questi casi è quello, già visto anche in altri autori, di portare alle estreme conseguenze l’affermazione dell’avversario fino a farla cadere. Qui tale tecnica è arricchita dal fatto che colui che la usa finge di stare dalla stessa parte di chi vuol sbugiardare. Gli elementi farseschi dovuti alla girandola di situazioni create dai continui cambi di identità del protagonista, servono a mantenere lo spettacolo, pur di argomento così drammatico, su quel registro comico, essenziale per Fo, al fine di evitare il rischio della catarsi e dell’indignazione (come in Pirandello).

Fo attualizza la tecnica e la figura del giullare come reincarnazione delle voci eretiche del passato, con una funzione fortemente polemica nel presente; sincronizza passato e presente realizzando un effetto straniante, usando il grottesco e la logica e, senza confondere i piani temporali, insinua nel presente un frammento di passato che ha una valenza negli avvenimenti politici contemporanei.

In un altro contesto l’opera di Fo può essere ricondotta a Pirandello, infatti i suoi personaggi si confrontano con una società snaturante e con una crisi esistenziale che li spinge a lottare per affermare le proprie ragioni e per smascherare le false verità imposte dall’alto.

Nel novembre 2009, dopo la sentenza di Strasburgo che stabilì, temporaneamente, la rimozione dei crocefissi dalle aule scolastiche, Dario Fo si schierò a favore della Corte Europea paragonando il Cristo in croce alla svastica e alla falce e martello, ovvero a simboli ideologici da rimuovere dalla società.

La controversia sulla militanza nella R.S.I.

Nel 1975, Giancarlo Vigorelli sul quotidiano Il Giorno scrisse: «Anche Fo sa di avere in pancia l’incubo dei suoi trascorsi fascisti». Fo querelò il giornalista e il quotidiano per diffamazione e la vicenda si concluse con la pubblicazione di una rettifica. Ma il senatore Giorgio Pisanò del Movimento Sociale Italiano, storico e direttore del “Candido”, documentò il trascorso repubblichino di Dario Fo, volontario nei parà e sottufficiale delle Brigate Nere, che si distinse per i rastrellamenti casa per casa nei centri vicini al Lago di Como.

Nello stesso anno, il deputato democristiano Michele Zolla presentò invano un’interrogazione al Ministro della Difesa per sapere se rispondesse a verità questo fatto. Nel 1977 Fo accusò Luigi Calabresi (da lui ribattezzato “commissario Cavalcioni”), di avere gettato dalla finestra della questura di Milano l’anarchico Pino Pinelli il giorno dopo della Strage di Piazza Fontana. In seguito attaccò il PM genovese Mario Sossi per aver fatto arrestare l’ex-comandante partigiano Giambattista Lazagna. Nello stesso anno Fo querelò per diffamazione Gianni Cerutti per aver pubblicato su II Nord un articolo che lo attaccava con parole pesanti:

«A Fo non conviene ritornare a Romagnano Sesia dove qualcuno lo potrebbe riconoscere: rastrellatore, repubblichino, intruppato nel battaglione Mazzarini della Guardia Nazionale della Repubblica di Salò».

Fo rispose querelando Cerutti. Il processo di svolse a Varese dove veniva stampato Il Nord: alla prima udienza, nel febbraio 1978, messo dinanzi a una foto che lo ritraeva con la divisa della Rsi, Dario Fo si giustificò raccontando che, all’età di 18 anni, nel 1944, collaborava con il padre, esponente della Resistenza nel Varesotto. Preso tre volte dai tedeschi, e sempre scappato, si era arruolato volontario nei paracadutisti di Tradate, ma lo aveva fatto per non destare sospetti, anzi, d’accordo con i partigiani amici del padre. Il suo sogno era sempre stato quello di unirsi alla formazione militare Lazzarini, la banda partigiana terrore dei nazifascisti sulla riva orientale del Lago Maggiore. Nel frattempo a marzo il giornalista Luciano Garibaldi sul settimanale Gente pubblicò la foto di Dario Fo in divisa da parà repubblichino con le testimonianze di una decina di ex-camerati di Tradate tra cui Carlo Maria Milani secondo il quale Fo partecipò, con il compito di portare bombe, al rastrellamento della Val Cannobina per la riconquista dell’Ossola.

Nello stesso articolo è presente l’intervista dell’ex comandante partigiano Giacinto Domenico Lazzarini:

«Le dichiarazioni di Dario Fo destano in me non poca meraviglia. Dice che la casa di suo padre era a Porto Valtravaglia, era un “centro” di resistenza. Strano. Avrei dovuto per lo meno saperlo. Poi dice che “era d’accordo con Albertoli” per raggiungere la mia formazione. Io avevo in formazione due Albertoli, due cugini, Giampiero e Giacomo. Caddero entrambi eroicamente alla Gera di Voldomino e alla loro memoria è stata concessa la medaglia di bronzo al valor militare. Forse Fo potrà spiegare come faceva ad essere d’accordo con uno dei due Albertoli di lasciare Tradate nel gennaio 1945, quando erano entrambi caduti quattro mesi prima. Senza dire, poi, che i cugini Albertoli erano tra i più vicini a me e mai nessuno dei due mi parlò di un Dario Fo che nutriva l’intento di unirsi alla nostra formazione. Se Dario Fo si arruolò nei paracadutisti repubblichini per consiglio di un capo partigiano, perché non lo ha detto subito, all’indomani della Liberazione? Sarebbe stato un titolo d’onore, per lui. Perché mai tenere celato per tanti anni un episodio che va a suo merito?».

Subito dopo, in un’intervista a La Repubblica Fo dichiarò: «Io repubblichino? Non l’ho mai negato. Sono nato nel ’26. Nel ’43 avevo 17 anni. Fino a quando ho potuto ho fatto il renitente. Poi è arrivato il bando di morte. O mi presentavo o fuggivo in Svizzera. Mi sono arruolato volontario per non destare sospetti sull’attività antifascista di mio padre, quindi d’accordo con i partigiani amici di mio padre». Le dichiarazioni di Milani e Lazzarini provocarono grande scalpore, tant’è che furono chiamati a testimoniare nel processo di Varese contro Fo il quale, dopo un acceso confronto, li denunciò per falsa testimonianza. La querela al comandante partigiano Giacinto Lazzarini provocò non poco stupore, poiché ne la biografia “La storia di Dario Fo”, di Chiara Valentini, si legge che «il leggendario comandante Lazzarini fu l’idolo della mia vita».

Il processo di Varese durò un anno e si concluse il 15 febbraio 1979, dopo oltre dieci udienze, con una sentenza che assolve per intervenuta amnistia il direttore de II Nord. Nel 1979 nella sentenza fu scritto:

«È certo che Fo ha vestito la divisa del paracadutista repubblichino nelle file del Battaglione Azzurro di Tradate. Lo ha riconosciuto lui stesso – e non poteva non farlo, trattandosi di circostanza confortata da numerosi riscontri probatori documentali e testimoniali – anche se ha cercato di edulcorare il suo arruolamento volontario sostenendo di avere svolto la parte dell’infiltrato pronto al doppio gioco. Ma le sue riserve mentali lasciano il tempo che trovano. Lo rende in certo qual modo moralmente corresponsabile di tutte le attività e di ogni scelta operata da quella scuola nella quale egli, per libera elezione, aveva deciso di entrare. È legittima dunque per Dario Fo non solo la definizione di repubblichino, ma anche quella di rastrellatore».

Milani fu assolto dall’accusa di falsa testimonianza con sentenza definitiva nel 1980 perché «il fatto non sussiste». La sentenza non fu appellata e così passò in giudicato. Fo dichiarerà poi nel 2000 al Corriere della Sera:

« Aderii alla Rsi per ragioni più pratiche: cercare di imboscarmi, portare a casa la pelle. Ho scelto l’artiglieria contraerea di Varese perché tanto non aveva cannoni ed era facile prevedere che gli arruolati sarebbero presto stati rimandati a casa. Quando capii che invece rischiavo di essere spedito in Germania a sostituire gli artiglieri tedeschi massacrati dalle bombe, trovai un’altra scappatoia. Mi arruolai nella scuola paracadutisti di Tradate. Poi tornai nelle mie valli, cercai di unirmi a qualche gruppo di partigiani, ma non ne era rimasto nessuno. »

Nel 2004 Oriana Fallaci ritornerà sulla questione, attraverso numerose interviste e in particolare scrivendo ne La forza della ragione: «Fui esposta al pubblico oltraggio. Istigato, questo, da un vecchio giullare [Dario Fo] della repubblica di Salò. Cioè da un fascista rosso che prima d’essere fascista rosso era stato fascista nero quindi alleato dei nazisti che nel 1934, a Berlino, bruciavano libri degli avversari». Nel 2007 viene pubblicata l’autobiografia “Il mondo secondo Fo. Conversazione con Giuseppina Manin” edita da Guanda. Nel libro viene riaperta la questione, Dario Fo «ha fatto parte della Repubblica di Salò», osserva l’intervistatrice Giuseppina Manin, coautrice del libro. Dario Fo non si sottrae e risponde che quella «parentesi» lui non l’ha «mai negata».

Ammette di essersi arruolato «per salvare la pelle». E fa notare la differenza con un altro premio Nobel, Gunter Grass, che la sua militanza nelle Waffen-SS l’ha tenuta nascosta fino al 2006. «Quello che più mi ha colpito della sua vicenda è il fatto di aver tenuto quel segreto dentro per tutto il tempo. Grass ha convissuto con la sua colpa per oltre sessant’anni».

Cultura di massa

Dario Fo è comparso brevemente in un episodio (Accordi di bifolchi) della serie animata I Simpson, come personaggio di un cartellone teatrale.

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