Pablo Neruda: Mi Piaci Silenziosa

22/02/2012 – Adoro Pablo Neruda (Parral 12 luglio 1904 – Santiago 23 Settembre 1973). La vastissima opera in versi di questo poeta, sempre tenacemente rinnovata, ma senza quasi mai tradire un’idole formale fortissima, fatta di traboccante materia verbale e di un’insolita varietà di modulazioni, costituisce senza dubbio un unicum nel panorama della poesia in lingua spagnola del Novecento. È un luogo comune attribuire al genio ispanico il tratto distintivo della sovrabbondanza, che non fu certo prerogativa di un inverosimile autore barocco come Lope de Vaga nè di un ermetico e mostruoso neobarocco come Lezama Lima, ma anche di scrittori novecenteschi di gousto antibarocco come Unamuno, che non si precluse alcun genere letterario, o il primo Juan Ramòn Jimènez, che pubblicava in media una raccolta all’anno, o perfino l’ultimo Borges, che nei tre lustri conclusivi della sua lunga vita produsse ben otto delle sue tredici raccolte di versi.

Un Pò Di Chiarezza

La dismisura di Neruda non è mai una tendenza all’eccesso che sbilanci i singoli versi, i singoli componimenti, la proporzione interna delle singole raccolte. Anzi, con scarsi cedimenti iniziali ai richiami delle avanguardie (Tentativa del hombre infinito), la creazione nerudiana è governata, con progressivo incremento, da un senso innato del limite, dell’ordine, dell’organizzazione dell’insieme. E di tale inopinato valore ci si avvede non solo dove il disegno è più palese, cioè nella strutturazione rigorosa (per quanto lo possa consentire la natura lirica e libera dell’ispirazione) di opere quali Cento general o Las uvas y el viento, articolate in sezioni tematiche, o negli stessi libri delle Odas, disposte alfabeticamente sulla base dei titoli, quasi fossero “voci” di un’enciclopedia poetica.

Poesia D’Amore E Di Tristezza Che Adoro Tantissimo

È una poesia d’amore (e perfino di disperazione amorosa) per una donna che riempie con la sua presenza-assenza tutto lo spazio lirico e, a tratti, è bensì corporea e carnale, ma per lo più è vaga, dispersa e inafferrabile come un’anima, non essendo altro, in fondo, che la proiezione mutevole dell’inquietudine erotica del solitario amante.

“Mi piaci silenziosa, perchè sei come assente,
mi senti da lontano e la mia voce non ti tocca.
Per quasi che i tuoi occhi siano volati via
ed è come se un bacio ti chiudesse la bocca.

Tutte le cose sono colme della mia anima
e tu da loro emergi, colma d’anima mia.
Farfalla di sogno, assomigli alla mia anima
ed assomigli alla parola malinconia.

Mi piaci silenziosa, quando sembri distante.
E sembri lamentarti, tubante farfalla.
E mi senti da lontano e la mia voce non ti arriva:
lascia che il tuo silenzio sia il mio silenzio stesso.

Lascia che il tuo silenzio sia anche il mio parlarti,
lucido come fiamma, semplice come anello.
Tu sei come la notte, taciturna e stellata.
Di stella è il tuo silenzio, così lontano e semplice.

Mi piaci silenziosa perchè sei come assente.
Distante e dolorosa come se fossi morta.
Basta allora un sorriso, una parola basta.
E sono lieto, lieto che questo non sia vero.”

È una poesia in cui l’onda musicale, dolcissima e avvolgente, vanifica quasi il significato letterale, che sembra volatilizzarsi quando lo si voglia cancellare in una parafrasi. Spogliato della sua espansione poetica e ridotto all’osso semantico, il senso del componimento (pur con qualche rischio) può essere paragrafato così: il silenzio dell’amata è per il poeta elemento di seduzione, ma insinua nel contempo anche il timore che sia un segno di morte; occorre allora che questo silenzio che distanzia i due amanti sia interrotto almeno da una parola, da un sorriso (segni di vita capaci di ridare letizia al poeta).